Pubblicato il: 17/07/2025
I fatti di causa
Nel caso di specie, il licenziamento era stato irrogato a un lavoratore con vent'anni di anzianità, impiegato nel tempo in diverse mansioni e beneficiario di permessi ex art. 3 L. 104/1992 e delle tutele correlate ai fini dell'assistenza al coniuge disabile (con invalidità riconosciuta all'80%).
Se, ad avviso del Supremo Collegio, è pacifico che la soppressione della posizione lavorativa ricoperta dal dipendente costituisca la ragione oggettiva posta a fondamento del recesso, tuttavia risulta altrettanto evidente come l'obbligo che impone, al datore di lavoro, di verificare ogni possibilità utile di ricollocazione (repêchage) del dipendente – anche in mansioni inferiori e nel rispetto della sua professionalità – non sia stato adeguatamente assolto.
Infatti, la datrice di lavoro ha unicamente proposto una posizione alternativa con un diverso regime orario (a doppio turno), incompatibile con le esigenze di cura del coniuge disabile, esigenza costantemente soddisfatta dal lavoratore anche grazie alla programmazione anticipata dei turni e al particolare orario a ciclo continuo osservato sin dall'assunzione. Il rifiuto del lavoratore – motivato dalla necessità di garantire la continuità dell'assistenza – è stato accompagnato dalla disponibilità a essere adibito a qualsiasi altra mansione, anche inferiore, a condizione di mantenere lo stesso orario, a conferma del suo atteggiamento collaborativo e della volontà di preservare il rapporto di lavoro. Nonostante ciò, la datrice di lavoro ha proceduto al licenziamento senza verificare l'esistenza di ulteriori soluzioni organizzative.
Dall'istruttoria è emerso, al contrario, che la società aveva assunto nuovi dipendenti e utilizzato lavoratori somministrati sia prima che dopo il licenziamento del ricorrente, circostanza che smentisce la pretesa impossibilità di un ricollocamento alternativo e mette in discussione la genuinità della scelta organizzativa.
Alla luce di ciò, appaiono violati non solo l'obbligo di repêchage, che impone una verifica seria e documentabile di ogni possibilità di reimpiego, ma anche i principi di correttezza, buona fede e solidarietà sociale, che devono informare le scelte datoriali soprattutto quando coinvolgono lavoratori portatori di esigenze particolari tutelate dalla legge, come quelle derivanti dall'assistenza a familiari disabili.
La condotta datoriale, dunque, è contraria al principio di “extrema ratio” che deve presiedere a ogni licenziamento per motivo oggettivo, come peraltro chiaramente affermato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 59/2021, la quale impone che la cessazione del rapporto sia l'ultima soluzione possibile, preceduta da una verifica effettiva e leale delle possibili alternative.
In conclusione, il licenziamento in esame è affetto da illegittimità, sia per difetto di giustificato motivo oggettivo in senso stretto, sia per violazione degli obblighi di repêchage, con possibile conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione o, quantomeno, al risarcimento del danno secondo le tutele previste dal sistema sanzionatorio vigente.
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